giovedì 19 dicembre 2013

Matteo


Se ne sarebbero andati a casa come tutte le sere. Giusto il tempo di raccogliere le proprie cose, dividersi le ultime monete e accorgersi ancora una volta che non aveva vinto nessuno. Giusto qualche cent a dividere il trionfo dalla disfatta, ad ogni modo sarebbero bastati come pretesto per ritrovarsi di nuovo, la sera successiva a tentare la fortuna.
Cosa li spingesse, fino in fondo era un mistero: forse la noia, in fondo non c’era molto da divertirsi in città, l’unico svago, quando il lavoro lo permetteva era andarsene al lago per una gita. Forse sfuggire alla routine familiare, forse il mezzo litro di vino che si scolavano puntualmente in quella bettola intrisa di fumo.
Per Matteo era l’unico momento di riscatto, se la cavava bene con le carte: abilissimo a barare e con una bella dose di fortuna. Non bastava il lavoro infimo al quale era stato destinato per farsi odiare dai suoi concittadini, si guadagnava il disprezzo anche nel gioco. Probabilmente doveva provare anche un certo gusto nel farsi odiare, a volte sembrava quasi che ricevesse linfa vitale dalle occhiate di odio della gente.
Quella sera aveva vinto di nuovo i suoi pochi cent e come al solito con il ghigno avvolto nella folta barba, mentre raccoglieva quella miseria aveva ordinato al giovane Andrea di andare a pagare il conto. Andrea il vino non lo aveva neppure assaggiato. Se lo portavano dietro per spennargli qualche soldo.
Sì, era proprio una sera come tutte le altre sere. Antonio piegato sul tavolo rifaceva i conti per l’ennesima volta, anche stasera aveva perso e il vecchio Ermes con gli occhiali sulla punta del naso gli scostava appena il braccio per controllare che non barasse. Sarebbero riusciti puntualmente, anche stasera, ad andare su tutte le furie e Antonio avrebbe avuto la peggio.
Sarebbe stata la stessa identica storia. Il bar, il vino, le carte ed infine il passo veloce lungo la strada di casa che si illuminava a stento con le poche stelle che il cielo di Novembre regalava.
Ma ad un tratto dal fondo del locale entrò un uomo, alto, ben vestito ma umile nel portamento. Si avvicinò lentamente tagliando con decisione la coltre di fumo che riempiva la stanza.
Si fermò davanti al loro tavolo, perfettamente in asse con la luce arancio del lampione che filtrava dalla bocca di lupo. Ermes ed Antonio continuavano a litigare.
“Matteo” disse, riempendo il salone di silenzio. “Tu, Matteo!”
Non ci fu bisogno di dire altro. Matteo sciolse il pugno dalla quale cadevano i pochi cent.
Nessuno lo aveva mai chiamato così.


Davide Tartaglia

domenica 17 novembre 2013

Torneremo presto. Forse.

[...]

Con voi sono stato lieto

dalla partenza, e molto

vi sono grato, credetemi,

per l’ottima compagnia.



Ancora vorrei conversare

a lungo con voi. Ma sia.

Il luogo del trasferimento

lo ignoro. Sento

però che vi dovrò ricordare

spesso, nella nuova sede,

mentre il mio occhio già vede

dal finestrino, oltre il fumo

umido del nebbione

che ci avvolge, rosso

il disco della mia stazione.

[...]

(Giorgio Caproni)